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Tutti a bordo, ma senza scendere!

Info e curiosità sulla vita di bordo nelle navi da crociera.


Voglio raccontarti del mio ultimo viaggio. Una crociera come non ne ho mai fatte. Al limite. Ai tempi del Covid. In mezzo al mare in piena pandemia.

Ma non voglio raccontarti cosa ho visto, non voglio darti informazioni utili sul come, quando e perchè: quelle le ho snocciolate su IG durante la mia permanenza a bordo di Costa Deliziosa (e le trovi nelle stories in evidenza).




Voglio raccontarti cosa significa vivere e lavorare su una nave da crociera nel 2020, tra incertezza, impossibilità di scendere a terra e riabbracciare amici e parenti. E lo voglio fare attraverso gli occhi e le parole di chi ho conosciuto in questi 7 giorni di viaggio.


Melissa, la cameriera assegnata al nostro tavolo. Giovane e sorridente, nata nelle Filippine e residente a Roma, madre di due bimbe meravigliose che sono lo screensaver del suo cellulare e che mi fa vedere con orgoglio quando le chiedo “Melissa, tu sei sposata?”. E poi c’è il marito, anche lui membro dell’equipaggio, anche lui nello stesso dipartimento, tra cucina e ristorante.


E tiro un sospiro di sollievo per Melissa perché saperla lontana dalle figlie “che stanno crescendo con la zia” fa un po’ meno male se almeno accanto a lei c’è l’altra metà. La cuccetta forse, sa un po’ di più di casa. Melissa sono i primi occhi che incontro la mattina. Mi chiama Madame e tutto questo rispetto mi intimidisce un po’. E’ professionale e questo significa “mantenere il distacco” ma facciamo subito amicizia.


Mi vizia tra cornetto e cappuccino, mentre le chiedo di Palawan, e già il secondo giorno mi promette che se mai andrò a trovarla sarò sua ospite. E mi tenta con “il dessert?” due volte al giorno, tutti i giorni, con una dolcezza che quasi mi dispiace dirle di no. Non c’è contatto tra noi, ma non ci sono muri. E’ così delicata, gentile, tenera che quasi mi dispiace non avercelo un contatto. I capelli sono sempre raccolti perfettamente. Mi chiedo come saranno le sue giornate. Come avrà imparato ad essere così a posto, precisa. E come vivrà la distanza dalle figlie, quando tra loro c’è di mezzo un mare intero? E come saranno le sue giornate “libere” ora che dalla nave l’equipaggio non può scendere? E quanti e quali altri clienti avrà viziato e invitato nelle Filippine, prima e dopo di me? E si preoccupa se arrivo tardi per la cena. O se non ordino tutte e tre le portate da menù. E poi le chiedo consigli sulla specialità del giorno ma poi faccio sempre di testa mia e solo ora mi accorgo che non è stato poi così carino chiederle cosa prendere e poi non prenderlo.



Sara, 26 anni, ligure e piena di vita. La incrocio la prima sera e niente. La seconda e mi soffermo. La terza e ci parlo. E parliamo un sacco. E’ una delle fotografe di bordo e nonostante sia giovanissima ha già avuto un sacco di esperienza sulle crociere. E’ innamorata del suo lavoro, si sente fortunata perché a differenza di altri, prima della pandemia, per lavoro non poteva ma DOVEVA scendere, e seguire i passeggeri nei tour. E così anche lei, scatto dopo scatto, ha scoperto angoli di mondo esotici, che pensava non esistessero nemmeno.


Ha visitato musei, palazzi, castelli, spiagge, mercati, città. Ora, invece, tutto è cambiato. Si è imbarcata a luglio e a novembre non è ancora scesa. Questa vita inizia a starle stretta, forse è per questo che si racconta così volentieri. Perché siamo pochissimi, e quei pochi che si soffermano a farsi fotografare sono un’occasione di scambio preziosa. Le foto ce le facciamo fare per gentilezza (e che stronzi poi a non comprarne neppure una anche se erano tutte bellissime, ma troppo care!!!).


Con lei invece ci intratteniamo per davvero. Mi interessa sapere com’è stare 3 mesi su una nave senza scendere. Anche qui, un sospiro di sollievo a sapere che Sara è fidanzata e il suo fidanzato non è rimasto a Genova ma fa parte pure lui dell’equipaggio. Mi sembrerebbe impossibile riuscire a mantenere viva una relazione quando i mesi di navigazione sono così tanti e così lunghi. E infatti, Sara secondo me è felice anche perché non è sola. Mi racconta dei suoi turni di lavoro, che “a pieno regime” sono super intensi ma che ora non passano mai. Che è strano e surreale vedere i corridoi così vuoti quando generalmente agli spot fotografici c’è la fila, c’è l’assalto, c’è la “selfie mania”.


Dice che navigare l’ha fatta crescere e che da quando ha visto il mondo non riesce più a fermarsi a casa. Le sue sono larghe vedute: in pochi anni ha parlato tutte le lingue dell’universo, conosciuto culture talmente diverse tra loro, che poi è difficile tornare nel piccolo paesino di provincia, e la capisco. Mi racconta delle giornate libere, di quando però si può scendere solo per le emergenze. Tipo aver finito gli assorbenti e doverli ricomprare. Della palestra riservata all’equipaggio, di quel ponte della nave che per noi è inaccessibile ma che rappresenta per chi ci lavora, la città nella città. La città dei dipendenti. Dove ci sono lavanderie, bar, e tutti quei servizi che non si possono confondere (ora più che mai) con quelli dedicati ai passeggeri. Un universo parallelo che mi intriga da morire.


“Le cuccette – mi racconta- sono minuscole. Ed è fondamentale lo spirito di adattamento. Non c’è privacy, sono doppie se ti va bene e prega il Dio che ti capiti una compagna di stanza socievole altrimenti sono guai”. Cerco di immedesimarmi e credo che no, non riuscirei. Non riuscirei a preparare una valigia per “mesi e mesi” senza avere lo spazio intero di una stanza “normale”. Senza sapere con chi dormire. Senza wifi (perché anche per l’equipaggio è a pagamento!) e in generale “senza”. Lei però ribadisce di essere fortunata “perché ci sono altre tipologie di cuccette destinate ad altri dipendenti che hanno i bagni in comune, e sono davvero piccole”. Mi manca l’aria solo se ci penso ma poi guardo Sara, la sua soddisfazione, e mi ricredo. Ha avuto il privilegio di fare il bagno nelle spiagge più belle dei caraibi, di salire sui grattacieli di Singapore, di visitare il Taji Mahal. E niente, forse, se il prezzo da pagare è dormire in un metro per due, un pensierino ce lo farei pure io.



Decido di andare a farmi la piega. La parrucchiera è di Milano ed è al suo secondo mese di esperienza lavorativa sulle navi Costa. Primo contratto, in piena pandemia. Ha avuto sfortuna, mi racconta di essere stata chiamata un anno prima ma poi con lo scoppio del coronavirus è rimasta impantanata a Londra dove avrebbe dovuto affrontare l’accademia riservata alle “nuove leve” della compagnia. Quindi ce l’ha fatta, con ritardo, ma si è imbarcata e ha iniziato la sua vita di navigazione.


Soffre un po’ la solitudine, soprattutto adesso, e mi dice che sulla nave, così come quando ti trasferisci in una città che non conosci, ti ritrovi a frequentare sempre le stesse persone: quelle della tua stessa nazionalità. Il problema è che se ci litighi per lavoro, poi, ci devi anche uscire insieme perché a differenza della vita a terra, qui non si può scegliere. Siamo sempre i soliti! Le uscite e le frequentazioni quindi vanno per nazionalità. Difficile mischiarsi.


Ci sono per lo più filippini e indiani. E di filippino ne conosco un altro, Giancarlo (che si stupisce quando gli faccio notare che porta un nome italiano!). E’ cameriere al Samsara Restaurant. E poi ci sono i ragazzi della gelateria, della pizzeria, delle pulizie, dell’animazione, della musica, millemila mansioni. C’è un addetto per qualsiasi cosa. Addetti luci, suono, tv. Più ci sono dentro, più vorrei saperne. E vorrei davvero conoscere la storia di ognuno di loro. Che si proverà a lavorare al tavolo del poker in un casinò di una crociera che fa il giro del mondo? Se ne vedranno delle belle? Oppure sarà noioso? E le ragazze della Spa? Si concederanno qualche vizio, quando non devono coccolare gli altri?



E poi la parentesi musicisti, artisti, ballerini, di tango, di flamenco, della qualunque. E maghi, e cantanti lirici, cantanti pop, chitarristi, batteristi, il pianobar, e così via. Un esercito pronto al battaglione dell’intrattenimento. Che però, a questo giro, si esibisce per sé. In sale vuote. Senza applausi. Cosa significherà ogni sera, indossare un abito di strass e lustrini e cantare, magari lo stesso repertorio? Ti sentirai forse una star? O sogni magari di scendere con dei jeans più comodi e meno riflettori puntati addosso? Tutti sempre sorridenti: si sforzeranno? O saranno davvero felici della vita che conducono?


Me lo sono chiesto ogni sera cercando di interpretare i loro gesti. Ho sempre visto artisti appassionati. Non curanti del fatto di “non avere un pubblico”. Una squadra vera. Gruppi composti da "un siciliano, un toscano e un friulano", perfettamente amalgamati. Per sentirsi meno soli portano a bordo qualche pezzo di famiglia e... mi faccio i film. Su tutti. C’è un ragazzo, la mattina che fa colazione vicino al mio tavolo, che pare lavori in pizzeria. E quando lo vedo in pizzeria mi fa un po’ strano. Di giorno passeggero, di sera pizzaiolo. Ma è una crociera unica nel sui genere, questa.


Ha portato il papà qualche giorno con sé e si vede che è quasi a disagio a vestire i panni del vacanziere. Agli spettacoli applaude più degli altri. Forse perchè gli artisti li conosce come non li conosco io.


Stessa cosa per i due fidanzatini che incontro a cena, due tavoli più in là del mio. Lui porta la divisa, lei no. Dove lavorerà? Di cosa di occuperà? Si saranno conosciuti in crociera? Ed è bello sapere che ai dipendenti sia concesso un po’ d’affetto a bordo, considerando l’impossibilità di scendere. Anche per dei mesi.


Lavoreresti mai su una nave da crociera?

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